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Coronavirus: il virus quanto vive nell’aria? Esperti e studiosi spiegano il grande dilemma legato alla durata ed alla resistenza del virus sulle superfici e quanto rimane sospeso nell’aria che respiriamo. Di seguito quanto riporta il portale IlMeteo.it.

All’inizio dell’epidemia i medici e il comitato scientifico annunciarono che la mascherina serviva solo a coloro che avevano contratto il coronavirus, agli infermieri, ai dottori e a quelli che erano a stretto contatto con possibili fonti di contagio.

Adesso, le cose sono cambiate. L’Organizzazione Mondiale della Sanità sta prendendo in seria considerazione gli ultimi studi scientifici sulla diffusione del COVID-19 nell’aria e si è detta pronta a rivedere le linee guida sulle mascherine. David Heymann, responsabile del gruppo di lavoro che si occupa del tema all’Oms ha dichiarato che “stiamo studiando le ultime evidenze scientifiche e una nuova ricerca potrebbe portare a un cambiamento nelle linee guida sulle mascherine”.

Lo studio a cui si riferisce l’Oms è quello condotto da Lydia Bourouiba del Massachusetts Institute of Technology MIT di Cambridge. La ricerca ha concentrato l’attenzione sulla velocità, la permanenza in aria e distanza percorsa dalle goccioline di saliva emesse da pazienti che possano trasmettere malattie invettive come l’attuale COVID-19. È emerso che uno starnuto crea una nuvola sia di dropletssia di goccioline piccole che può arrivare fino a 8 metri di distanza. Le goccioline emesse con starnuti e tosse di persone infette possono viaggiare fino a due metri e poi cadono per la forza di gravità.

L’aereosol, che sono goccioline più piccole, può però restare sospeso in aria e raggiungere distanze maggiori come ha chiarito questo studio. “Non creiamo però troppa agitazione, avverte il virologo Fabrizio Pregliasco, perché è vero che gli studi indicano una potenzialità di dispersione ambientale maggiore, ma parliamo sempre di ambienti chiusi e contesti ospedalieri. All’aperto non ci sono pericoli”.

La diffusione con aerosol è molto più probabile in circostanze e contesti specifici in cui vengono eseguite procedure o trattamenti di supporto che generano le piccole goccioline: ovvero intubazione endotracheale, broncoscopia, aspirazione aperta, somministrazione di trattamento nebulizzato, ventilazione manuale prima dell’intubazione, disconnessione del paziente dal ventilatore, ventilazione a pressione positiva non invasiva, tracheotomia e rianimazione cardiopolmonare. In ospedale dunque, dove ci sono molti pazienti sottoposti a ventilazione meccanica, non quindi con il respiro normale, ma quello prodotto dalle macchine. Senza adeguati ricambi d’aria le stanze potrebbero saturarsi di aria infetta.

Fonte: IlMeteo.it/Notizie